Barcellona

Barcellona è una città da passo di danza. Allegro, vivace, brioso, lo incontri in ogni angolo di via, a partire dalle Ramblas che dal centro scendono sino al mare, colorate prima di fiori, artisti di strada, mercanzie, musica, poi di riflessi di acqua e di sole e di sirene di navi che arrivano nel porto. Il passo di danza diventa vorticoso la sera in luoghi come Piazza Reale, dove la cortina serrata e chiusa dei palazzi racchiude alte palme e fontane d’acqua; memoria di oasi del deserto diventa salotto cittadino, luogo dai tanti incontri e scambi. Poco più in su, sempre nel cuore della città vecchia, in ore diverse del giorno ecco si accendono di profumi i chioschi del grande mercato in ferro della Boqueria, il più vecchio d’Europa, grande piazza coperta dove ci si trova non solo per acquisti, ma anche per mangiare, curiosare, chiacchierare.
L’anima della città, così confidenziale e gioiosa, non la si trova solo in luoghi antichi ma anche in quelli più recenti come l’importante Museo d’arte contemporanea dell’arch. R. Meyer datato 1995; la piazza antistante è piena di giovani che giocano, si esibiscono su skate, ed è talmente bello e vivifico starli a guardare che quasi dimentichi di entrare nell’edificio per ammirare non solo importanti collezioni ma anche, percorrendo la lunga "promenade architecturale", i giochi di luce sui vari piani e sulla corte interna.
Stessa atmosfera si respira sul lungo mare. Nel 1992, quando ci furono le Olimpiadi a Barcellona, la città si aprì al mare causando grandi cambiamenti urbani. Le vecchie fabbriche industriali furono trasformate in un nuovo quartiere: il Villaggio Olimpico, accanto a quello settecentesco di Barceloneta, la piccola Barcellona, borgo tradizionale dei marinai e dei pescatori.
Visibile dal mare c’è un pesce enorme, tutto di bronzo, lucente e sfavillante, come fosse un moderno faro; segna infatti l’ingresso del Porto olimpico ed è opera dell’arch. F. Gehry. È una scultura sorretta da una architettura articolata su più livelli, con vasche d’acqua riflettenti e piccoli giardini alberati da cui è possibile godere del mare e della gente che poco più in là si bagna, gioca tra la sabbia, si stende al sole.
Sempre in occasione delle Olimpiadi fu costruita la Torre delle Telecomunicazioni nel distretto di Montjuic, vicina al palazzo S. Jordi dell’arch. giapponese A. Isozaki.

La torre, dell’arch. S. Calatrava, è un fusto inclinato su cui si innesta un elemento semicircolare.
Il fusto funziona come la lancetta di una meridiana , proiettando l’ombra sulla piattaforma circolare sottostante, ricorda inoltre un giavellotto o una figura inginocchiata recante un’offerta.
Il rivestimento di piastrelle a mosaico della base è un riferimento e un omaggio all’opera del famoso arch. A. Gaudì, la cui genialità è consistita non solo nell’invenzione di forme estremamente espressive, ma anche di tecniche basate su insoliti mezzi strutturali e su un impiego originale dei materiali e della decorazione.
Del resto il suo lavoro non è stato originale nel senso di singolare quanto per un rimando etimologico della parola.
"L’originalità consiste nel tendere, nel tornare alle origini", affermava lui stesso.
Tutta la sua opera è un rimando, un’eco di forme primordiali, di mondi marini e animali, infantili e onirici, dimenticati eppure presenti in uno spazio della mente tanto da suscitare immediate emozioni che vanno oltre la sfera del razionale e del quantificabile o definibile; è qualcosa che è vicino al sacro, alla sua ricerca, a quel germe che si trova in natura. È un anelito verso la Verità.
Porta segno e ricerca diversa il lavoro dell’arch. Mies van der Rohe.
Il Padiglione tedesco per l’Esposizione internazionale a Barcellona gli fu commissionato nel 1928, e gli diede l’occasione di sperimentare temi già affrontati in architetture precedenti: l’unione tra elementi verticali (pilastri e setti posti asimmetricamente) e orizzontali (due coperture piane), connessi in modo tale da rompere un volume di tipo scatolare, ottenendo così una forte continuità tra esterno e interno. Fluidamente.
La decorazione affidata al taglio e alla spaccatura sapiente dei marmi, la forma cruciforme dei pilastri, le due vasche d’acqua in cui si riflette e si duplica il manufatto, l’articolazione equilibrata dei pieni e dei vuoti, il ballo composto della danzatrice, opera di G. Kolbe ne fanno una delle opere in cui è più chiara la metodologia della “sottrazione”, o come lui amava definire del “less is more”.

Arch. Teresa Mariniello