Marrakesh

Il colore e Marrakech
L’aria trema sui rossi di Marrakesch; non riesce a posarsi sulle cose intorno, sulle palme alte, sui giardini, sul minareto. Qui, alla moschea Koutoubia abbiamo appuntamento con la nostra guida, lo riconosciamo dalla lunga veste leggera che porta su abiti occidentali. Il passo è cadenzato, sicuro, il sorriso aperto e benevolo. Ha la bellezza del suo popolo berbero, la fierezza delle grandi dinastie che hanno governato nel passato una regione ben più grande del Marocco di oggi.
Per le vie che cominciano a farsi più strette e tortuose allontanandoci dalla grande moschea, saluta e sorride a molta gente. Ci spiega che in questa città, così febbrile e caotica, non si è perso il piacere dello stare insieme, del raccontarsi il quotidiano, davanti a una tazza di tè alla menta, o all’hammam. Si sente intorno una morbidezza del vivere, una fluidità che dà agio.
Sostiamo di fronte a una porta di un riad che molto dice delle regole che governano le relazioni tra i sessi; all’interno di una porta più grande ce n’è un’altra più piccola che consente il passaggio di una sola persona, il suono del batacchio di entrambe è diverso e questo consente alle donne in casa di riconoscere la venuta del proprio uomo, da solo o in compagnia, e di acconciarsi di conseguenza.
Entriamo nel riad trasformato in albergo. La tipologia dell’abitazione è naturalmente a patio, come in tutte le regioni calde: chiusa sull’esterno riceve aria e luce da patii, cortili, corti interne, arredate con divani e tavoli dai colori vivi, da tappeti appesi alle pareti o poggiati su basse panche. Il tema ricorrente e preferito è la raffigurazione geometrica del giardino, sia come ricordo dell’abbondanza dell’estate nelle sere d’inverno, sia come attesa di un eden descritto dal Corano come ” luogo di giardini bagnati dalla corsa dei ruscelli”.

Lo stesso tema si ritrova come motivo costante dell’arte decorativa islamica, nei rilievi di stucco che salgono alti sulle pareti, nelle piastrelle di ceramica colorate che descrivono in basso il perimetro dell’ambiente. Il fogliame intrecciato. Memoria di oasi punteggiate da palme.
La vita nel deserto che entra nella casa, nella moschea, nella medrasa.
Anche quest’ultima ha l’impianto di un edificio a corte con al centro una vasca rettangolare in marmo, in cui si riflettono gli intricati intagli in legno di cedro della loggia superiore. In basso le grandi sale di preghiera impreziosite dalla decorazione zellige ( il tipico mosaico della regione) danno una sensazione particolare di serenità e pacatezza, ai piani superiori le piccole stanze per gli studenti si affacciano su pozzi di luce.
L’angolo è sottolineato dagli incroci e dai raccordi dei diversi materiali, dalla cornice in stucco che riporta la parola di Dio e che gira tutto intorno diventando un fregio, ma anche è il richiamo a un precetto. Innumerevoli sono i rituali legati alla religione islamica, quelli relativi alle abluzioni e alla preghiera, quelli che regolano la relazione tra i sessi. Le donne prima del matrimonio, ad esempio, vengono sottoposte a una serie di “esami”, uno di questi è quello del pane: la giovane sposa lo preparerà ogni giorno e lo porterà al forno del quartiere, lì il fornaio sarà in grado di riconoscere il pane delle varie famiglie. Il forno è naturalmente nel suq, un dedalo di strade ombreggiate da teli o da incannucciati, risonanti delle voci dei venditori, spesso del grido “balek” che apre il passaggio ai carretti a mano, agli asini carichi di mercanzie. Ogni suq ha il suo nome e il suo genere di articoli, i ferri battuti luccicano con le matasse di seta, spezie dai colori caldi ammiccano agli oli essenziali e agli hennè.
Un rimbalzo di odori, suggestioni, che trova il suo culmine nella famosa piazza Jemaa al Fna, di notevoli dimensioni; ai banconi vari del giorno, si aggiunge la sera una moltitudine variopinta di faccende e di persone. Incantatori di serpenti, musicanti con scimmie, mangiatori di fuoco, fachiri tranquilli su tappeti di chiodi, indovine, creano una atmosfera affascinante e inquietante insieme. Nuvole di fumo restano sospese nell’aria, salgono dalle piccole cucine che vendono cibo del luogo: teste di capre, zuppe, verdure, tajine, ecc.
Si resta storditi da tanta vitalità, da questo caos che ha una sua logica, un suo ritmo nel battere del tamburo del suonatore dal sorriso aperto, dalla faccia arrossata dal sole e dall’aria del deserto.