Cadice

Alte palme descrivono il profilo della piazza di Cadice, si interrompono solo lungo la facciata della cattedrale; il movimento continuo delle larghe foglie, in una città così sbattuta dal vento crea suggestioni. Sono forse loro la testimonianza dell’arrivo di popoli lontani, forse in passato questo spiazzo è stato una sorta di oasi.
Di fatto una architettura è caldamente vivibile quando porta la testimonianza di una memoria collettiva in cui è ancora possibile identificarsi, anche solo a livello inconscio. Questo sentimento è oggi suscitato con l’inserimento di elementi scenografici e di forte impatto nei panorami cittadini, perché il fattore spettacolo è determinante nel vissuto attuale, è inoltre legato al movimento sempre più frenetico con cui modelliamo le nostre vite, e anche a un consumo sempre più veloce dello spazio, talvolta non tenendo in nessun conto delle vocazioni del luogo e delle intrinseche caratteristiche. Succede che architetti acclamati propongono lo stesso segno in manufatti che si trovano in punti diversi del globo; del resto il problema della globalizzazione riguarda ogni aspetto della civiltà e forse bisognerebbe di più chiedersi come va costruita oggi l’identità.
In passato lo stupore e la meraviglia erano sostanzialmente suscitati da due poli, il potere civile e quello religioso che trovavano spesso la rispettiva rappresentazione nella chiesa e nel palazzo, fra questi era naturalmente la piazza o l’agorà, luogo deputato non solo all’incontro, alle discussioni, processioni, ecc. ma alla rappresentazione simbolica di quella singola collettività, che aveva, ha bisogno, necessità di riconoscersi in un luogo.

Ciò che scrivo ha naturalmente molte variabili, legate al periodo storico, e alla presenza di elementi naturali, per es. il mare, il fiume, e il rapporto che gli abitanti hanno con esso.
La cattedrale di Cadice ha una doppia veste, la parte bassa è di pietra arenaria più scura della parte superiore, perché nei lunghi tempi di esecuzione di allora si era ripiegato su un materiale meno costoso, inoltre il movimento barocco e di forte segno della facciata culmina in un campanile già neoclassico. Un manufatto attraversato dal tempo, con commistioni di stili, ha certamente più cose da raccontare rispetto a un altro “puro”, crea una sorta di familiarità con il cittadino, il visitatore.
Dalla torre campanaria è possibile ammirare tutto il mare intorno, giacché la città fondata dai fenici nel XII secolo a.c. sorge su un promontorio la cui punta estrema era protetta da una fortezza; le tracce di questa, una piccola e graziosa corte interna, degli spalti che danno su una playa in cui barche arenate danno un senso romantico al contesto è l’altro punto di aggregazione cittadino, l’altro polo di cui si parlava prima.
La spiaggia , di livello più basso rispetto alle vie e ai palazzi, è in ogni ora del giorno gremita da famiglie che senza alcun imbarazzo giocano a tombola, mangiano, ridono, vivono insomma.
Presente in ogni piazza spagnola è la chitarra; un ragazzo vestito di bianco, con un cappello di feltro scuro, accorda per un primo madrigale, il palco è la piazza, il fondale le lunghe palme.
A chi sa ascoltarlo, e senza fretta si ferma o rallenta il passo, si presentano antiche visioni di questa terra, così piena di contrasti, di scorrerie di popoli diversi, e ci si ricorda della dolcezza del vivere nella lentezza.