In cammino per l'arte
La vita è un viaggio, viaggiare è vivere due volte.
( Omar Khayyam, poeta persiano del XII sec. )
Viaggiare è oggi difficile. L’eccessiva velocità insieme alla globalizzazione hanno reso problematico il mettersi in cammino con il piacere dello scoprire, il desiderio di immaginare, la capacità di confrontarsi con luoghi e culture diverse.
Ogni cosa può essere virtuale, conosciuta attraverso lo schermo del proprio computer con una estrema precisione: non solo clima e valuta, mezzi di trasporto e sistema viario, ma anche taverne locali, pozzi nel mezzo di oasi; agenzie turistiche più o meno specializzate propongono viaggi di gruppo in luoghi remoti ed esotici con ogni comodità e sicurezza, in alberghi con cucina anche occidentale. Ci si porta dietro il proprio mondo, le sicurezze di una identità che sempre più spesso non desidera il confronto con le altre, si fotografa moltissimo con le digitali, e se questo è un vantaggio economico, non lo è per i sensi; bisogna penetrare i luoghi, farsi avvolgere dagli odori, intuirne i limiti spaziali, cercare di comprenderne i significati, la storia. Essere insomma meno frenetici, meglio, lenti, quanto occorre a leggere, prima di scattare.
Le immagini vengono poi proiettate in serate settembrine nelle varie case d’amici, spesso ci si costringe a questa “consuetudine” sociale con un sentimento di noia, guardando allarmati il numero di foto da ingurgitare; si intuisce che quei luoghi non sono stati realmente attraversati e che ,insieme agli oggetti acquistati , non sono altro che effimeri cimeli.
Altre mete preferite, per viaggi più brevi, sono le visite alle grandi città europee, facilmente raggiungibili in aereo con prezzi competitivi; si visitano piazze e musei famosi, sottoponendosi a lunghe file, e a un passo accelerato davanti a quadri e sculture, per poter vedere tutto, trattando i luoghi d’arte come negozi di souvenir.
Ricordo a questo proposito un episodio relativo ai miei primi anni universitari: il professore di progettazione, Nicola Pagliara, ci diede appuntamento a palazzo reale di Napoli, dove, ci disse, ci avrebbe lui guidato all’interno della mostra su Le Corbusier. Entusiasti di conoscere con lui il grande maestro accorremmo numerosi all’appuntamento, ci portò con nostro stupore attraverso locali secondari, alle spalle della mostra, in un grande sala, dove ci tenne una lezione.
Ci parlò con l’entusiasmo e la passione che sempre lo caratterizzavano, dell’ architettura greca e romana con rimandi a quella classica successiva, ci insegnò a leggere lo spazio architettonico come fosse uno spartito musicale, con tempi e battute dati dall’intervallo tra pieni e vuoti, i pieni delle masse murarie, i vuoti delle campate, ci disse di come l’uso del cemento armato avesse rivoluzionato tale segno, e infine, di come ci avrebbe confuso accostarci troppo presto all’architettura moderna.
Ecco, ricordo ancora tutto ciò non tanto perché possa essere applicato a ogni percorso o visita, quanto perché solo la riflessione, la sedimentazione attenta, lo studio che precede l’incontro di quanto si vedrà, può farci cogliere non solo la bellezza, ma anche la storia, la fatica, la cura del dettaglio che sono alla base dell’arte.