L'architettura del sacro
Dare forma spaziale al sacro è uno dei compiti più difficili per un architetto, perché si tratta di dare forma a ciò che non l’ha. I suggerimenti funzionali legati alla liturgia possono dare un apporto riguardo il dimensionamento, gli spazi connettivi, il dislocamento delle singole parti che comporranno il manufatto, ma poco dicono riguardo alla composizione; questa è suggerita piuttosto dal riferimento a elementi più profondi, in cui l’animo umano può rispecchiarsi, come le forme naturali, l’acqua, la terra, la luce.
La ricerca della luce nell’architettura sacra è fatto noto, basta ricordare i templi greci con la statua del dio, nel naos, rivolta a oriente, lì dove si annuncia il sole. Così le grandi vetrate policrome e intarsiate delle cattedrali gotiche, catturavano luce per espandere lo spazio, su, in alto, e illuminare, nello stesso tempo, anche i racconti di avvenimenti biblici. La luce non è solo funzione, è vita, aspirazione, visibilità, lì dove abita l’invisibile. Fuori e dentro noi.
Gli esempi storici riferiti a questo elemento potrebbero essere numerosi, ma mi interessa portare tre architetture del nostro tempo, che con linguaggi diversi, hanno raggiunto lo “ spazio ineffabile”, cioè capace di generare l’emozione plastica, i cui elementi, silenzio e luce, accompagnano, accolgono chi vuole entrare in relazione col sacro, esse sono:
Cappella di Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp, 1950-1955 di Le Corbusier
Aula liturgica della chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, 1991-2004 di Renzo Piano
Dives in Misericordia a Roma, 2000, di Richard Meier
In questi manufatti, oltre il ricorso alla luce, si nota l’importanza del riferimento a forme naturali e primigenie, come se la chioma di alberi, i molluschi, le onde, il vento che gonfia le vele, le conchiglie segnate dal mare contenessero segreti, messaggi a cui attingere.
Così Le Corbusier copre la cappella dedicata a Maria con un enorme guscio di granchio rovesciato, raccolto per caso molti anni prima sulle spiagge dell’oceano e sempre conservato sul proprio tavolo di lavoro.
Renzo Piano imposta tutta la pianta dell’aula dedicata a Padre Pio sulla forma della conchiglia, al cui centro si trova la Croce, sospesa in alto, e da cui si diramano spirali sempre più ampie, tanto da accogliere il sagrato esterno con i filari di ulivi.
Richard Meier, per la chiesa del millennio voluta dal Papa Giovanni Paolo II a ricordo del Giubileo del 2000, pensa a tre grandi vele che simboleggiano la Trinità, e portano la “barca della chiesa” sui mari del Terzo millennio.
Ecco, brevemente, è chiaro da questi accenni, come non sia stato solo il riportare i simboli classici e consueti della cristianità che ha fatto di queste chiese luoghi così particolari, ma l’attraversare interiormente il messaggio che c’è nella natura, coniugarlo con la propria spiritualità, per tradurlo in una immagine di forma.
Altro elemento importante è quello della luce, e della sua interazione con la materia.
In Ronchamp la strombatura invertita delle finestre crea all’interno un’illuminazione puntiforme, simile a quella di un cielo stellato; la chiesa sorge in un piccolo paese di campagna dove il cielo di notte è simile a questa immagine che l’architetto visualizza, inoltre non dimentichiamo che il manto della vergine è spesso stellato proprio per richiamare la volta divina, dimora della spiritualità.
Ma, al di là di questi facili simboli è la suggestione che se ne ricava ; i punti bucando le superfici e l’animo umano, fanno intravedere qualche spiraglio di sacro.
Così la lama radente tra il tetto e le pareti dal forte spessore annullano l’angolo, scompaginano le direzioni in una corrente di luce.
In Dives Misericordia in Roma il punto in cui maggiormente si catalizza la luce è alle spalle dell’altare, qui c’è una doppia cornice per Cristo. La più lontana è una campitura di luce che segue il segno della “ vela”, la seconda è uno spazio reso ancor più tridimensionale dalla forte strombatura delle pareti, con ritagli negli spigoli fino alla piccola finestra in fondo. Decentrata, come Cristo dalla parte opposta. E spinto in avanti.
Ricorda per certi versi il quadro di Masaccio in Santa Croce a Firenze, dove Dio offre, espone il Figlio. Ma rispetto alla certezza dogmatica del 400, che imponeva una prospettiva centrale, univoca, salda, inconfutabile, io leggo in questo altare con alle spalle una prospettiva decentrata, la presenza del dubbio. Vero fondamento della fede.
Infine in San Giovanni Rotondo non è possibile non ricordare la riluttanza di Renzo Piano a misurarsi con un tema così importante, e a notare come molti degli espedienti già usati dai due architetti precedenti hanno qui avuto seguito: lo stacco in luce della verticale delle pareti dalla orizzontale del tetto per esempio, la parete di fondo completamente illuminata e, questa volta, incorniciata dal grande arco in giunti di pietra. Quasi spettacolare nella sua ampiezza imponente, filtro importante tra il dentro e il fuori del grande sagrato, segnato dalla spina d’acqua da una parte che scende verso la chiesa, e dall’altro dalla balaustra che affaccia sulla valle, questo sagrato si fa piazza e campo insieme.
Pazienti e sparsi gli ulivi, pronte a spiccare in volo le colombe di pietra, si fanno carne. In preghiera.